Circolazione Stradale: Raccolta di Massime Cassazione e sentenze tribunali

 

Corte di Cassazione Sezione 3 civile
Sentenza 19.12.2006, n. 27134

La presunzione de facto di mancato rispetto della distanza di sicurezza posta dall'articolo 107 vecchio testo del codice della strada, (applicabile nella specie ratione temporis) non concerne il caso del tamponamento in danno di un veicolo che costituisca un ostacolo imprevedibile e anomalo al normale andamento della circolazione stradale ovvero il caso in cui il giudice del merito non abbia accertato circostanze dell'incidente con la conseguenza di non poter escludere la precedente ipotesi di inoperatività della presunzione. (Nella fattispecie il rapporto della Polstrada evidenziava che l'autovettura tamponata si trovava presumibilmente posizionata in sosta sul margine di una strada a scorrimento veloce).

Corte di Cassazione Sezione 3 civile
Sentenza 23.05.2006, n. 12108

Il conducente di un veicolo ai sensi dell'art. 107 c.d.s. deve essere in grado di garantire in ogni caso l'arresto tempestivo del mezzo, evitando collisioni con il veicolo che precede. Pertanto, l'avvenuta collisione pone a carico del conducente medesimo una presunzione de facto di inosservanza della distanza di sicurezza, con la conseguenza che, non potendosi applicare la presunzione di pari colpa di cui all'art. 2054 comma secondo cod. civ., egli resta gravato dall'onere di dare la prova liberatoria, dovendo, dunque, dimostrare



che il mancato tempestivo arresto dell'automezzo e la conseguente collisione sono stati determinati da cause in tutto o in parte a lui non imputabili.

Corte di Cassazione Sezione 3 civile
Sentenza 15.02.2006, n. 3282

In caso di tamponamento tra veicoli - che si verifica anche quando il contatto tra il veicolo tamponato e il tamponante sia soltanto parziale - per il disposto dell'art. 107 del previgente codice della strada (applicabile ratione temporis al sinistro per cui è causa), il conducente di un veicolo deve essere in grado di garantire in ogni caso l'arresto tempestivo del mezzo, evitando collisioni con il veicolo che precede. Pertanto, l'avvenuta collisione pone a carico del conducente medesimo una presunzione de facto di inosservanza della distanza di sicurezza, con la conseguenza che, non potendosi applicare la presunzione di pari colpa di cui all'art. 2054 comma secondo cod. civ., egli resta gravato dall'onere di dare la prova liberatoria, dimostrando che il mancato tempestivo arresto dell'automezzo e la conseguente collisione sono stati determinati da cause in tutto o in parte a lui non imputabili.

Giudice di Pace di Gragnano civile
Sentenza 02.02.2006, n. 234

In caso di tamponamento di due veicoli, sussiste a carico del conducente del veicolo tamponante una presunzione di colpa, c.d. de facto, superabile mediante una prova liberatoria tale da dimostrare che l'evento verificatosi è dipeso da causa a lui non imputabile. (Nella fattispecie in esame, il conducente del veicolo tamponante non ha rispettato le normali regole di prudenza e diligenza, ed ha violato il precetto di cui all'art. 149 del C.d. S., secondo cui ogni veicolo deve tenere, rispetto a quelli che li precedono, una distanza di sicurezza tale da garantire sempre il tempestivo arresto del mezzo, per evitare appunto collisioni con i veicoli che li precedono).

Corte di Cassazione Sezione 3 civile
Sentenza 03.08.2005, n. 16260

Il conducente di un veicolo deve essere in grado di garantire in ogni caso l'arresto tempestivo del mezzo, evitando collisioni con il veicolo che precede. L'avvenuto tamponamento tra veicoli, infatti, pone a carico del conducente che segue una presunzione de facto di inosservanza della distanza di sicurezza. Ciò comporta che, non potendosi applicare la presunzione di pari colpa di cui all'articolo
2054 comma 2, del Cc, egli resta gravato dall'onere di dare la prova liberatoria che il mancato tempestivo arresto dell'automezzo e la



conseguente collisione sono stati determinati da cause in tutto o in parte a lui non imputabili. (M.Pis.)




Tribunale di Napoli Sezione 11 civile
Sentenza 16.01.2004, n. 527

Il tamponamento di un veicolo che precede, pone a carico del
tamponante una presunzione di fatto di responsabilità per
inosservanza della distanza di sicurezza. Tale presunzione a sua
volta esclude quella di corresponsabilità prevista dal secondo comma dell'art. 2054 c. c., in quanto l'improvviso arresto del veicolo che precede costituisce evento prevedibile (1). (L.Sca.)

SORPASSO

Corte di Cassazione Sezione 4 penale
Sentenza 17.03.1988, n. 3540

Lo spazio libero sufficiente, previsto dall`art. 106 primo comma, cod. strad. in tema di sorpasso, deve essere inteso non soltanto nel senso della distanza che separa il conducente da eventuali ostacoli che si trovino o sopraggiungano nell`opposta corsia di marcia, ma anche nel senso di un`adeguata distanza laterale alla sinistra del veicolo da sorpassare. Pertanto, qualora manchi o sia insufficiente un tale spazio per qualsiasi motivo, e quindi anche nel caso che il veicolo da sorpassare circoli fuori mano invadendo una parte della corsia sinistra della carreggiata, il conducente che si accinge al sorpasso deve desistere da tale manovra finche` non sia possibile effettuarla senza pericolo. infatti, poiche`, il sorpasso postula condizioni di assoluta sicurezza, il conducente non puo` esimersi dall`obbligo di rinunciarvi quando, per la mancanza di un congruo spazio libero, in una valutazione di comune prudenza, possa apparire che il sorpasso medesimo e` malagevole e pericoloso.

Tribunale di Roma Sezione 12 civile
Sentenza 10.07.2003

È responsabile esclusivo del sinistro l'automobilista che in violazione degli artt. 148 e 149 c.s. si sia avvicinato pericolosamente all'auto che gli marciava dinanzi sulla corsia di sorpasso di un'autostrada e, nel tentativo di superarla senza attendere che la corsia fosse libera, l'abbia tamponata provocandone, in seguito, la morte del conducente.

Corte di Cassazione Sezione 4 penale
Sentenza 17.06.2003, n. 25962



In tema di responsabilità colpose per fatti lesivi o mortali derivanti da violazione delle norme sulla circolazione stradale, deve ritenersi che la presenza di veicoli fermi sulla corsia di sorpasso di un'autostrada costituisce un evento del tutto imprevedibile, che si pone in contrasto, oltre che con le norme anzidette, anche con quelle della convivenza civile. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che correttamente fosse stato escluso, nonostante che si trattasse di fatto avvenuto in ora diurna, in tratto rettilineo ed in condizioni di ottima visibilità, il concorso di colpa del conducente di un autoveicolo il quale aveva tamponato, riportando lesioni di esito mortale, l'autoveicolo dell'imputato, fermo sulla corsia di sorpasso a seguito di precedente collisione con altra autovettura, da cui erano derivati solo danni alle cose).




Stante la pericolosità della manovra di sorpasso, il conducente di veicolo è tenuto all'osservanza non solo delle specifiche prescrizioni di cui all'art. 106 cod. stradale, ma anche di quelle generali della comune prudenza; egli, pertanto, qualora dalla doverosa e necessaria ispezione della strada davanti risulti che il fondo stradale è dissestato per la presenza di buche e rigonfiamento dell'asfalto,deve astenersi dal sorpasso, specie quando il mezzo da sorpassare sia un veicolo a due ruote, dovendosi prevedere possibili spostamenti a sinistra,di maggiore o minore ampiezza, di tale veicolo. Corte di Cassazione Sezione 4 penale Sentenza 11.10.1983, n. 8135

Corte di Cassazione Sezione 4 penale
Sentenza 28.04.1989, n. 6565

In tema di circolazione stradale la disposizione dell'art. 106 d.p.r. 15 giugno 1959, n. 393, vieta l'inizio e l'esecuzione della manovra di sorpasso, non solo in prossimita` o in corrispondenza di curve, ma anche in ogni caso di scarsa visibilita`, qualunque ne sia il fattore determinante. (Fattispecie di sorpasso effettuato in circostanza di scarsa visibilita` del veicolo sorpassando, per
cattive condizioni atmosferiche; tale circostanza veniva dedotta come scusante in ordine alla responsabilita` per l'evento mortale che ne era conseguito).




Giudice di Pace di Pomigliano d'Arco civile
Sentenza 20.06.2005, n. 716



La manovra di sorpasso in tanto può dirsi corretta in quanto chi si accinge ad eseguirla si accerti in primo luogo se essa è consentita in quel tratto di strada e se sussiste lo spazio sufficiente (distanza di sicurezza in senso longitudinale e trasversale) durante tutta l'esecuzione della manovra, per attuarla con sicurezza e senza pericolo. Ne consegue che il conducente che abbia intrapreso tale manovra ha l'obbligo di rinunciarvi laddove non vi sia la certezza del rientro a destra in condizioni di sicurezza. Essendo il sorpasso a sinistra, infatti, una turbativa della circolazione non è esigibile una manovra di emergenza da parte del sorpassato.

Tribunale di Roma Sezione 12 civile
Sentenza 10.07.2003

È responsabile esclusivo del sinistro l'automobilista che in violazione degli artt. 148 e 149 c.s. si sia avvicinato pericolosamente all'auto che gli marciava dinanzi sulla corsia di sorpasso di un'autostrada e, nel tentativo di superarla senza attendere che la corsia fosse libera, l'abbia tamponata provocandone, in seguito, la morte del conducente.

Corte di Cassazione Sezione 2 civile
Sentenza 05.02.2007, n. 2484

In tema di sanzioni amministrative comminate per violazioni del codice stradale, l'art. 148 undicesimo comma, del codice della strada, punisce il sorpasso dei veicoli fermi o in lento movimento,
ogni qual volta esso comporti l'invasione della carreggiata destinata al senso opposto di marcia, sia nell'ipotesi che i veicoli oggetto
del sorpasso si trovino in prossimità di un passaggio a livello, ai semafori, sia che essi siano costretti alla sosta o ad una marcia lenta per altre cause di congestione della circolazione.

Giudice di Pace di Nocera Inferiore civile
Sentenza 22.08.2005, n. 1354

Deve ritenersi superata la presunzione di uguale responsabilità di cui all'Art. 2054 del C.c., qualora l'attività istruttoria espletata dimostri che la collisione si è determinata per esclusiva responsabilità del convenuto, il quale, operando un sorpasso azzardato di più veicoli che lo precedevano, abbia invaso l'opposta corsia di marcia e provocato una collisione con veicolo fermo e pronto a immettersi in tale corsia.

Corte di Cassazione Sezione 2 civile
Sentenza 05.02.2007, n. 2484
La lettera della disposizione dell'art. 148 comma 11, codice della strada, D.Lgs. n. 285 del 1992, infatti, criterio fondamentale -



questo- d'interpretazione della legge, prevede che l'invasione della parte della carreggiata destinata al senso opposto di marcia è elemento costitutivo dello illecito superamento di veicoli fermi o in lento movimento sia ai passaggi a livello sia ai semafori sia per altre cause di congestione della circolazione.
Questo, appunto, è il tenore letterale della disposizione che,
accanto al divieto di sorpassare un veicolo che superi altro veicolo, proibisce il superamento di veicoli fermi o in lento movimento ai passaggi a livello, ai semafori o per altre cause di congestione
della circolazione, quando a tal fine sia necessario spostarsi nella
parte della carreggiata destinata al senso opposto di marcia, con ciò raffigurando -per sua stessa formulazione e per l'uso della congiunzione in senso inclusivo un'unica condotta vietata di superamento di veicoli fermi o in lento movimento, senza che a tal fine -secondo principio di coerenza logica- assumano rilievo le cause obiettive (passaggi a livello, semafori o altre cause), che determinano il fermo o il lento movimento dei veicoli superati.



Giudice di Pace di Sorrento civile
Sentenza 31.03.2006, n. 604

Nel caso in cui dalla istruttoria della causa emerga che il convenuto ha violato la norma dell'articolo 148 del codice della strada deve ritenersi superata la presunzione di pari responsabilità prevista dal secondo comma dell'articolo 2054 del codice civile. Nella
fattispecie, la collisione tra l'autovettura dell'attore e il
motociclo di parte convenuta è stata provocata da un sorpasso effettuato dal conducente del motociclo in assenza di spazio sufficiente per completare la manovra e rientrare nella propria corsia di marcia

Tribunale di Roma Sezione 13 civile
Sentenza 09.05.2007, n. 9207

1. Con il primo motivo di appello, l'appellante principale lamenta l'erroneità della decisione del giudice i pace, nella parte in cui ha ritenuto di fare applicazione della presunzione di apri responsabilità, di cui all'art. 2054, comma 2, c.c..

Esso è infondato.

1.1. Nel caso di specie sebbene possa ritenersi provato che Ma.St.Sc. fosse onerata da segnale di stop (tanto risulta dal rapporto della polizia municipale), occorre ricordare che il giudice il quale abbia accertato la colpa di uno dei conducenti non può esimersi dal verificare il comportamento dell'altro, onde stabilire se
quest'ultimo abbia o meno osservato le norme sulla circolazione



stradale ed i normali precetti della prudenza (ex permutis, Cass., sez. III, 15-12-2000, n. 15847) Infatti, per superare la presunzione di colpa che l'art. 2054 comma 23 c.c., pone a carico di ambedue i conducenti coinvolti, occorre dimostrare che:

(a) il sinistro è dovuto al comportamento colposo esclusivo di uno solo dei conducenti;

(b) l'altro conducente si sia, per converso, esattamente uniformato alle norme della circolazione ed a quelle di comune prudenza (Cass., sez. IlI, 22-09-2000, n. 12524),

Pertanto l'accertamento in concreto della colpa di uno dei conducenti non comporta, dì per sé, il superamento della presunzione di colpa concorrente dell'altro, il quale è chiamato a fornire la prova liberatoria dimostrando di essersi uniformato alle norme della circolazione ed a quelle della comune prudenza (Cass., sez. IlI, 18-
12-1398, n. 12692).

Pertanto l'infrazione, anche grave, come l'inosservanza del diritto
di precedenza, commessa da uno dei conducenti non dispensa il giudice dal verificare anche il comportamento dell'altro conducente al fine
di stabilire se, in rapporto alla situazione di fatto accertata, sussista un concorso di colpa nella determinazione dell'evento dannoso (in terminis, Cass., sez, III, 05-05-2000, n. 5671).

1.2. Ciò premesso in iure, si osserva in facto come nel caso di specie sono state raccolte due soie fonti di prova in merito alla dinamica del sinistro, rappresentata dal rapporto della polizia municipale dall'interr. libero della convenuta.

Nessuna di tali fonti di prova ha consentito agli odierni appellante di superare la presunzione posta a loro carico dall'art. 2054 commi 2 e 3, c.c.

Anzi, l'interrogatorio reso dalla convenuta, là dove ha ammesso dì essere onerata dallo Stop, ma ha soggiunto che Ra.Da. stava superando una fila di veicoli ferma per consentirle il passaggio, ha reso Pagina dichiarazioni aggiuntive alla confessione che, ai sensi dell'art. 2734 c.c., fanno piena prova perché non immediatamente contestate.

Da ciò consegue che con la condotta colposa dell'appellata ha concorso la condotta colposa dell'odierna appellante, posto che ai sensi dell'art. 148, comma 11, c.d.s. è vietato (...) il superamento di veicoli fermi o in lento movimento ai passaggi a livello, ai semafori o per altre cause di congestione della circolazione, quando
a tal fine sia necessario spostarsi nella parte delta carreggiata



destinata al senso opposto di marcia.

Non è possibile, pertanto, stabilire se la scorretta manovra posta in essere da Ma.St.Sc. fosse in qualche modo prevedibile dall'appellante (ad esempio, per la posizione avanzata assunta dall'autoveicolo, ovvero in base ad altri elementi). Nemmeno è possibile stabilire se, quando il veicolo condotto da Ma.St.Sc. impegnò l'area del crocevia, il ciclomotore condotto dall'appellante si trovasse ad una distanza così ravvicinata da non potere attuare alcuna manovra di emergenza.

Trova, dunque, applicazione nel caso di specie il principio secondo cui il dovere di solidarietà desumibile dagli art. 2 cost. e 1175 c.c. impone a tutti i conducenti di cooperare per evitare che il sinistro si verifichi, non potendo trincerarsi dietro la circostanza che egli non versa in una violazione delle norme comportamentali. L'unico caso in cui detto soggetto non è tenuto alla manovra di emergenza si verifica allorché, attese le circostanze del caso concreto, una qualche manovra astrattamente idonea di emergenza risulta impossibile (Cass., sez. IlI, 05-05-2000, n. 5671).

Pertanto, quando sia accertata in concreto la colpa di uno dei conducenti, mentre nulla sia possibile stabilire in merito alla correttezza della condotta tenuta dall'altro, il giudice di legittimità ammette che la colpa accertata in concreto di uno dei conducenti possa concorrere con la colpa presunta dell'altro, ex articolo 2054, comma 2, ce (Cass., sez. IlI, 24-06-1997, n. 5635).








126 BIS CdS





Corte Costituzionale

Sentenza 24.01.2005, n. 27

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E' costituzionalmente illegittimo l'art. 126 bis, comma 2, del decreto legislativo 30/4/1992, n. 285, introdotto dall'art. 7 del decreto legislativo 15/1/2002, n. 9, nel testo risultante all'esito della modifica apportata dall'art. 7 comma 3, lettera b), del decreto legge 27/6/2003, n. 151, convertito, con modificazioni, nella legge
1°/8/2003, n. 214, nella parte in cui dispone che: «nel caso di mancata identificazione di questi, la segnalazione deve essere effettuata a carico del proprietario del veicolo, salvo che lo stesso non comunichi, entro trenta giorni dalla richiesta, all'organo di polizia che procede, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione» , anziché «nel caso di mancata identificazione di questi, il proprietario del veicolo, entro trenta giorni dalla richiesta, deve fornire, all'organo di polizia che procede, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione» . Premesso che, in base al principio generale posto dall'art. 6 della legge 24/11/1981, n. 689, l'art. 196 del d.lgs. n. 285 del 1992 fa proprio, per le violazioni punibili con la sanzione amministrativa pecuniaria, il «principio di solidarietà» , disponendo, al comma 1, che il proprietario del veicolo» (o, in sua vece, «l'usufruttuario, l'acquirente con patto di riservato dominio o l'utilizzatore a titolo di locazione finanziaria» ) è «obbligato in solido con l'autore della violazione al pagamento della somma da questi dovuta» , e che pertanto la responsabilità del proprietario non conducente è configurabile per le sole sanzioni aventi contenuto patrimoniale, la disposizione censurata, in materia diversa dalla responsabilità per il pagamento di somme e in una ipotesi di sanzione di carattere schiettamente personale - assimilabile a quella della sospensione della patente, di indubbio carattere afflittivo -, pone irragionevolmente a carico del proprietario del veicolo, solo perché tale, una autonoma sanzione personale, prescindendo dalla violazione, ascrivibile al medesimo proprietario direttamente, di regole disciplinanti la circolazione stradale. Nel caso in cui, peraltro, il proprietario ometta di comunicare i dati personali e della patente
del conducente, trova applicazione la sanzione pecuniaria di cui
all'articolo 180 comma 8, del codice della strada, ferma restando la possibilità per il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, di conferire alla materia un nuovo e diverso assetto.



Giudice di Pace di Roma Sezione 5 civile

Sentenza 04.07.2006, n. 45691

Deve essere accolta l'opposizione al verbale relativo alla violazione dell'art. 126 bis, comma secondo, CdS relativa alla omessa comunicazione, da parte del proprietario del veicolo, dei dati personali e della patente del conducente. Invero, la comunicazione
dei dati della patente di guida del presunto trasgressore - ove
questi si opponga - appare non esigibile dal momento che il privato non può certo obbligare qualcuno a fornirgli i dati della patente di guida e né, d'altra parte, il privato proprietario può svolgere un'attività sostitutiva dell'organo di Polizia stradale. Inoltre per ciò che attiene al decremento dei punti (parificabile ad una sanzione accessoria), non è sostenibile che nella fattispecie sussista una
vera e propria responsabilità solidale del proprietario del veicolo,
perché sia l'articolo 6 della legge n. 689/81, sia la norma speciale di cui all'art. 196 CdS, limitano espressamente la responsabilità solidale alla sola sanzione pecuniaria.




Giudice di Pace di Roma civile

Sentenza 04.07.2007, n. 25502

In tema di omessa comunicazione ai sensi dell'art. 126 bis, comma secondo, CdS deve ritenersi che la condotta del proprietario, il quale abbia dichiarato di non sapere chi fosse alla guida della propria autovettura al momento della commessa infrazione, sia
sufficiente ai fini dell'osservanza dell'obbligo previsto dalla legge
di comunicazione, intesa come riscontro, e non possa perciò ritenersi omissione ai sensi della norma citata. In tale ipotesi, dunque, la relativa opposizione va accolto e per l'effetto il verbale deve essere annullato





ACCESSO CENTRO STORICO




Decreto del Presidente della Repubblica 22.06.1999, n. 250 (Gazzetta Ufficiale 2 agosto 1999, n. 179)
Regolamento recante norme per l'autorizzazione alla installazione e all'esercizio di impianti per la rilevazione degli accessi di veicoli ai centri storici e alle zone a traffico limitato, a norma dell'articolo 7, comma 133-bis, della legge 15 maggio 1997, n. 127.




Articolo 3 - Rilevazione ed utilizzazione dei dati

1. Gli impianti sono utilizzati per la rilevazione dei dati riguardanti il luogo, il tempo e l'identificazione dei veicoli che accedono al centro storico o nelle zone a traffico limitato. Gli impianti raccolgono dati sugli accessi rilevando immagini solamente in caso di infrazione.

2. La procedura sanzionatoria prevista dal titolo VI del codice della strada, ha luogo solamente in presenza di violazione documentata con immagini. A tal fine la custodia e l'utilizzazione dei dati rilevati dagli impianti sono riservati al responsabile di cui all'articolo 4 ed al personale di polizia stradale. L'organo di polizia stradale, sulla base del rilevamento, accerta l'identità del soggetto destinatario della notifica della violazione e procede alla redazione del verbale di contestazione. Al verbale non è allegata la documentazione con immagini che e' custodita per eventuali contestazioni.

3. La documentazione con immagini è utilizzata per le sole finalità di applicazione del presente regolamento ed è conservata per il solo periodo necessario alla contestazione dell'infrazione, all'applicazione della sanzione ed alla definizione dell'eventuale contenzioso.

4. Ferme restando le disposizioni di cui alla L. 31 dicembre 1996, n.
675 e successive modificazioni, i dati rilevati sono accessibili per fini di polizia giudiziaria o di indagine penale.




Articolo 5 - Modalità di esercizio dell'impianto



1. L'esercizio degli impianti ha luogo nel rispetto delle norme di omologazione od approvazione, per le finalità per cui sono stati autorizzati, e comunque nei limiti di cui all'articolo 17, comma 133 bis, della L. 15 maggio 1997, n. 127, introdotto dall'articolo 2, comma 33, della L. 16 giugno 1998, n. 191.

2. Gli impianti non sono interconnessi con altri strumenti, archivi o banche dati.

3. Gli impianti sono gestiti direttamente dagli organi di polizia stradale e devono essere nella disponibilità degli stessi. Durante il funzionamento degli impianti non e' necessaria la presenza di un organo della polizia stradale.

4. L'accertamento delle violazioni rilevate, come previsto dall'articolo 385 del regolamento di attuazione del codice strada, può essere effettuato in tempo successivo con esonero della contestazione immediata




Articolo 7 - Caratteristiche e criteri di omologazione o di approvazione degli impianti

1. Gli impianti che utilizzano immagini digitalizzate si conformano alle caratteristiche tecniche e sono omologati secondo i criteri riportati nella norma UNI 10772 e successive modificazioni.

2. Gli impianti che utilizzano per il rilevamento dei dati utili un sistema dedicato per la comunicazione terraveicolo a corto raggio si conformano alle caratteristiche tecniche e sono omologati secondo i criteri riportati nella norma UNI 10607 e successive modificazioni.

3. Per gli impianti che utilizzano per il rilevamento dei dati utili tecnologie diverse da quelle di cui ai commi 1 e 2 si procede all'approvazione dei prototipi.

4. Per tutti gli impianti occorre garantire, in ogni caso, la necessaria sicurezza delle operazioni di accesso, di riconoscimento o di trattamento automatico dei dati rilevati.




Articolo 8 - Procedure per l'omologazione o per l'approvazione di prototipo

1. Per l'omologazione od approvazione di prototipi degli impianti di rilevazione di cui al presente regolamento si applicano le



disposizioni dell'articolo 192 del regolamento di attuazione del codice della strada.




Corte di Cassazione Sezione 2 civile

Sentenza 21.06.2007, n. 14567

L'omologazione dell'apparecchiatura, dunque, concerne la idoneita' della stessa a fissare in un determinato momento la velocita' di un autoveicolo, ben polendo la riferibilita' della velocita' ad un determinato veicolo discendere dall'osservazione documentata ad opera dell'agente di polizia giudiziaria. E' noto, inoltre, che. secondo il consolidato orientamento di questa Corte (Cass. S.U. 25 novembre
1990, n. 12545; 5 dicembre 1995, n. 12846; 22 marzo 1995, n. 3316),
nel giudizio di opposizione avverso l'ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa, il verbale di accertamento dell'infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, dei fatti in esso attestati dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza, descritti senza margini di apprezzamento, nonche' della sua provenienza dal pubblico ufficiale: cio' in forza dell'efficacia probatoria privilegiata dell'atto pubblico ex articolo 2700 c.c.. Ne consegue che l'accertamento delle violazioni delle norme sulla velocita' deve ritenersi provato sulla base della verbalizzazione dei rilievi delle apparecchiature previste da detto articolo 142, facendo peraltro prova il verbale fino a querela di falso dell'effettuazione di tali rilievi, mentre le risultanze di essi valgono invece fino a prova contraria, che puo' essere data dall'opponente in base alla dimostrazione del difetto di funzionamento, anche occasionale, di tali dispositivi ovvero in relazione alle condizioni della strada e del traffico al momento della rilevazione, da fornirsi in base a concrete circostanze di fatto.




DANNO 1591 CC

Corte di Cassazione Sezione 3 civile
Sentenza 31.03.2007, n. 8071

In materia di danni per ritardata restituzione ex art.1591 cod.civ., trattandosi di responsabilità del conduttore di natura contrattuale, il danno deve essere rigorosamente provato nella sua esistenza e nel suo preciso ammontare dal locatore; a tal fine è utilizzabile qualsiasi mezzo di prova, comprese le presunzioni, le quali non solo devono essere gravi precise e concordanti, ma debbono essere anche idonee a provare in concreto il danno del locatore, non essendo



sufficiente invocarle in astratto, al solo scopo di provare un maggior canone di mercato. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, ritenendo che il danno non era dimostrato neppure ricorrendo alla prova presuntiva dal momento che non poteva dedursi da alcun elemento noto l'esistenza di operatori del settore disposti a pagare nel corso degli anni 1989-1990 somme maggiori di quelle corrisposte dal comune a titolo d'indennità sostitutiva di canoni locativi).

Corte di Cassazione Sezione 3 civile
Sentenza 27.03.2007, n. 7499

La prova del maggior danno, di cui alla seconda parte dell'art. 1591 cod. civ., non sorge automaticamente, sulla base del valore locativo presumibilmente ricavabile dall'astratta configurabilità di ipotesi di locazione o vendita del bene, ma richiede, invece, la specifica dimostrazione di un'effettiva lesione del patrimonio del locatore, consistente nel non aver potuto dare in locazione il bene per un canone più elevato, nel non averlo potuto utilizzare direttamente e tempestivamente, nella perdita di occasioni di vendita ad un prezzo conveniente o in altre analoghe situazioni pregiudizievoli. Detta prova incombe sul locatore, tenuto a dar conto dell'esistenza di ben determinate proposte di locazione o di acquisto e di concreti propositi di utilizzazione.

Corte di Cassazione Sezione 3 civile
Sentenza 22.03.2007, n. 6958

In tema di risarcimento del maggior danno ex articolo 1591 del Cc la prova non deve essere necessariamente fornita attraverso la dimostrazione di ben determinate proposte di locazione per un canone più elevato, potendo il locatore avvalersi a questo fine di elementi presuntivi dotati dei requisiti previsti dall'articolo 2729 del Cc, purché consentano di ritenere l'esistenza di soggetti seriamente disposti ad assicurarsi il godimento dell'immobile dietro corrispettivo. In questo ambito va precisato che l'offerta da parte del conduttore di un canone maggiore per la rinnovazione del contratto può tutt'al più valere come elemento presuntivo che concorre unitamente a elementi dello stesso segno a provare l'esistenza del danno. (M.Pis.)




Tribunale di Torino Sezione 8 civile
Sentenza 10.10.2006, n. 6504

In sede di quantificazione del danno conseguente ad accoglimento della domanda risarcitoria per occupazione senza titolo di immobile,



occorre rifarsi, in applicazione analogica del generale principio desumibile dall'art. 1591 c.c., (secondo cui il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l'obbligo di risarcire il maggior danno) alla misura del canone originariamente corrisposto
dal conduttore. (F.Cia)

Corte di Cassazione Sezione 3 civile
Sentenza 07.02.2006, n. 2525

L'obbligo di risarcire il maggior danno, posto dall'art. 1591 cod. civ., a carico del conduttore in mora nella riconsegna della cosa locata, presuppone la specifica prova di una effettiva lesione del patrimonio del locatore, consistente nel non aver potuto utilizzare direttamente e tempestivamente il bene, nella perdita di occasioni di vendita ad un prezzo conveniente o in altre analoghe situazioni pregiudizievoli, la cui prova incombe al locatore, tenuto a dimostrare l'esistenza di ben determinate proposte di locazione o di acquisto e di concreti propositi di utilizzazione. Il canone convenuto costituisce, quindi, solo il parametro di riferimento per la quantificazione del danno minimo da risarcire, poiché, versando il relativo importo, il conduttore che continua ad occupare l'immobile dopo la cessazione del contratto non adempie all'obbligazione di dare il corrispettivo nei termini convenuti (ai sensi dell'art.
1587, n. 2, cod. civ.), bensì risarcisce un danno da mora, così
adempiendo ad un'obbligazione risarcitoria che si sostituisce a quella contrattuale. Ne consegue che, vertendosi in tema di risarcimento del danno, ed essendo il risarcimento correlato al danno effettivamente subito, l'importo dovuto dall'occupante, non più a titolo di canone, ma di risarcimento per la protratta occupazione, deve essere correlato al periodo di effettiva occupazione.

NOTIFICA A PERSONA GIURIDCA





Notifica a pers giur si fa nelle mani di: rappresentante o persona incaricata di ricevere le notifiche o in mancanza ad altra persona addetta alla sede stessa (11804/2002)

In tema di notificazione di atti giudiziari, l'efficacia probatoria privilegiata che l'art. 2700 c.c. riconosce all'atto pubblico non copre la veridicità delle dichiarazioni rese dal consegnatario dell'atto circa le proprie qualità o le proprie condizioni personali, quando queste non siano frutto di indagini o di accertamenti compiuti dall'ufficiale giudiziario. Tuttavia, ai fini della regolarità della notificazione di atti a persona giuridica, ai sensi dell'art. 145 c.p.c., presso la sede legale ovvero presso quella effettiva ex art.
46 comma 2, c.c., è sufficiente che il consegnatario sia legato alla
persona giuridica stessa da un particolare rapporto che, non dovendo necessariamente essere di prestazione lavorativa, può risultare anche dall'incarico, eventualmente provvisorio o precario, di ricevere la corrispondenza; sicché, qualora dalla relazione dell'ufficiale giudiziario risulti in alcuna delle predetti sedi la presenza di una persona che si trovava nei locali della sede stessa, è da presumere che tale persona fosse addetta alla ricezione degli atti diretti alla persona giuridica, anche se da questa non dipendente, laddove la società, per vincere la presunzione in parola, ha l'onere di provare che la stessa persona, oltre a non essere un suo dipendente, non era neppure addetta alla sede per non averne mai ricevuto incarico
alcuno, nel senso che la prova dell'insussistenza di un rapporto
siffatto non è adempiuto con la sola dimostrazione dell'inesistenza d'un rapporto di lavoro subordinato tra la persona in questione ed il destinatario della notifica, attesa la configurabilità di altri rapporti idonei a conferire la richiesta qualità.

Cassazione civile, sez. I, 13 dicembre 1999, n. 13935

In materia di notificazione di atti a persona giuridica mediante consegna a persona addetta alla sede, non si richiede che il consegnatario sia espressamente incaricato di ricevere gli atti, essendo sufficiente che si trovi nel luogo ove avviene la notifica non occasionalmente, ma in virtù di un suo particolare rapporto (di lavoro o di altro tipo) con l'ente destinatario, in modo da far ragionevolmente ritenere che l'atto sarà consegnato al destinatario stesso.

Cassazione civile, sez. I, 12 luglio 2002, n. 10134

Per posta è nulla quando dall’avviso di ricevimento risulti consegna
a persona non legale rappresentente e non incaricata e non risulti la qualità rivestitra da quella persona così da poter desumere la sua legittimazione alla ricezione (Cass 4942/94)



L'inesistenza della notificazione e la sua consequenziale insanabilità, ricorrono quando essa sia stata eseguita in luogo e con consegna a persone, che non abbiano alcuna relazione con il soggetto destinatario, mentre allorquando in concreto sia ravvisabile un rapporto di collegamento fra il luogo ed il consegnatario della notificazione e lo stesso destinatario, ancorché siano state violate le norme che regolano le modalità di esecuzione della notificazione, di essa non si può ravvisare l'inesistenza ma la nullità, che è sanabile per l'espresso richiamo dell'art. 160 c.p.c. ai precedenti art. 156 e 157 c.p.c. ed in particolare, per effetto della costituzione del destinatario, che integra raggiungimento dello scopo dell'atto. Ne deriva che, qualora una notificazione ad una persona giuridica (nella specie una società) sia stata eseguita nello stabile ove essa ha la sede (essendone inquilina), a persona che abbia dichiarato di essere incaricata a ricevere le notificazioni per suo conto e sia addetta alla portineria dell'intero stabile, deve escludersi la ricorrenza di una fattispecie di inesistenza e
ritenersi quella di una fattispecie di nullità, sanabile ex tunc
dalla costituzione della destinataria, poiché, pur non sussistendo in capo al consegnatario il rapporto con la destinataria richiesto dall'art. 145, comma 1, c.p.c. (cioè di addetto alla sua sede), sussiste un obbiettivo collegamento in ragione del servizio di portineria assicurato, sia pure ad altri fini, a favore della destinataria.

Cassazione civile, sez. I, 23 luglio 1999, n. 7949

Per la validità della notificazione a persona giuridica (o ad ente sfornito di personalità giuridica), non è sufficiente che copia dell'atto sia consegnata a persona qualificatasi incaricata alla ricezione, essendo necessario l'ulteriore requisito del rinvenimento di tale incaricato presso la sede della persona giuridica o dell'ente privo di personalità giuridica.

Cassazione civile, sez. II, 28 gennaio 2000, n. 976

In tema di notificazione alle persone giuridiche, se la notificazione non può essere eseguita con le modalità di cui all'art. 145, comma 1, c.p.c. - ossia mediante consegna di copia dell'atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in
mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa - e nell'atto è
indicata la persona fisica che rappresenta l'ente, si osservano, in applicazione del comma 3 del medesimo art. 145, le disposizioni degli art. 138, 139 e 141 c.p.c.; se neppure l'adozione di tali modalità consente di pervenire alla notificazione, si procede con le formalità dell'art. 140 c.p.c. (nei confronti del legale rappresentante, se indicato nell'atto e purché abbia un indirizzo diverso da quello
della sede dell'ente; oppure, nel caso in cui la persona fisica non



sia indicata nell'atto da notificare, direttamente nei confronti della società); ove neppure ricorrano i presupposti per l'applicazione di tale norma e nell'atto sia indicata la persona fisica che rappresenta l'ente (la quale tuttavia risulti di residenza, dimora e domicilio sconosciuti), la notificazione è eseguibile, nei confronti di detto legale rappresentante, ricorrendo alle formalità dettate dall'art. 143 c.p.c.

Cassazione civile, sez. III, 5 marzo 2003, n. 3269

Qualora la notificazione di un atto a persona giuridica sia eseguita presso la sede legale mediante consegna ad una delle persone indicate nel comma 1 dell'art. 145 c.p.c., la legittimazione alla ricezione si presume sulla base della presenza del soggetto in quel luogo e dell'avvenuta accettazione dell'atto, mentre incombe sul destinatario l'onere della prova contraria.

Cassazione civile, sez. trib., 6 agosto 2002, n. 11804

La notificazione di un atto alle persone giuridiche si perfeziona, giusta disposto dell'art. 145 c.p.c., al momento della consegna dell'atto stesso ad una persona fisica legata all'ente da un rapporto qualificato (anche se non necessariamente caratterizzato dai
connotati della prestazione lavorativa), derivante da un incarico,
non necessariamente conferito in maniera formale, di ricevere detto atto per conto della persona giuridica.

Cassazione civile, sez. III, 5 agosto 2002, n. 11702

Il vizio di notificazione importante nullità sanabile ai sensi del combinato disposto degli art. 160 e 156 c.p.c. si ha quando, nonostante la inosservanza delle formalità o delle disposizioni di legge, tra cui quelle concernenti la persona alla quale può essere consegnata la copia dell'atto, la notificazione, tuttavia, è materialmente avvenuta mediante rilascio di copia nel luogo e a persona che possano avere un qualche riferimento con il vero destinatario della notificazione medesima; per contro, il vizio di notificazione è insanabile quando questa sia eseguita in luogo e presso persona che non siano in alcun modo e per nessuna via riferibili al soggetto passivo della notificazione medesima, essendo riferibili a tutt'altro soggetto, assolutamente estraneo al destinatario e all'atto da notificare. Cassazione civile, sez. lav.,
1 marzo 2002, n. 3001 COSTANTE

La notificazione alle persone giuridiche si realizza, secondo l'ipotesi di cui all'art. 145 c.p.c., mediante la consegna dell'atto a una persona fisica legata alla persona giuridica da un rapporto qualificato che non deve essere necessariamente di prestazione



lavorativa, essendo sufficiente che derivi da un incarico, non necessariamente conferito in maniera formale, di ricevere le notificazioni per conto della persona giuridica.

Cassazione civile, sez. lav., 23 gennaio 1998, n. 642

Ai fini dell'accertamento della validità della notificazione diretta ad una società e ricevuta da una persona diversa dal rappresentante, che non siasi dichiarata incaricata di ricevere le notificazioni o addetta alla sede, l'esistenza di una di tali qualità può ben essere desunta, in via di presunzione, dalla circostanza stessa del rinvenimento del consegnatario nel luogo in cui l'ente svolge la sua attività in modo continuativo, essendo peraltro sufficiente un incarico anche solo provvisorio e precario, senza necessità che si
sia instaurato un rapporto di dipendenza o di stabile collaborazione.

Cassazione civile, sez. II, 1 ottobre 1997, n. 9556







RIMBORSO ONORARI





Ai fini dell'applicazione dell'art. 68 legge professionale forense 27 novembre 1933 n. 1578, mentre la nozione di transazione della lite deve essere intesa nella più ampia accezione di ogni accordo che
abbia l'effetto di estinguere la controversia senza l'intervento del
giudice, anche se privo dei requisiti di sostanza e di forma del contratto disciplinato dagli art. 1965 ss. c.c., ivi compresa, quindi, la conciliazione ai sensi dell'art. 411 c.p.c., presupposto ineludibile perché il difensore possa far valere per il pagamento degli onorari e per il rimborso delle spese l'obbligo solidale della parte avversa al proprio cliente è la sussistenza di un giudizio nel corso del quale le parti stipulino la transazione che lo definisca, senza soddisfare le competenze del professionista. (Nella specie, è stata esclusa la ricorrenza di tale presupposto nell'accordo stipulato, con verbale di conciliazione ex art. 411 c.p.c., tra la lavoratrice ed il datore di lavoro dopo che il giudizio tra le parti si era concluso in primo grado con sentenza avverso la quale, pur pendendo ancora il termine per proporre appello, nessuno dei litiganti aveva proposto gravame, in quanto, in un caso siffatto, al momento della stipula della conciliazione non era in corso un processo effettivo ed attuale - e non potenziale - e cioè non vi era un giudizio in atto, ossia un valido rapporto processuale ed un rituale contraddittorio).Cassazione civile, sez. II, 13 settembre 2004, n. 18343

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III CIVILE SENTENZA 31 maggio
2005 n. 11606
Con il primo motivo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione della legge processuale di cui al disposto dell'art. 22 legge 990/69 e degli artt. 90 e 91 Cod. proc. civ., nonche' omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, si contesta la legittimita' dell’avvenuta liquidazione delle spese sostenute dalla parte per l’assistenza legale nella fase stragiudiziale e si sostiene che le indicate norme limitano la ripetibilita' a carico della parte soccombente alle sole spese determinate dal processo:
Dal tenore delle menzionate norme doveva discendere il principio
della non risarcibilita' automatica delle anzidette spese stragiudiziali, e cio' perche' essendo l’intervento di un legale necessario per legge solo nella fase processuale, giusto quanto disposto dagli artt. 83 e segg. Cod. proc. civ., solo per tale fase il legislatore aveva individuato una giustificazione al rimborso della relativa spesa in favore della parte vittoriosa, essendo stata la stessa determinata da un obbligo di legge e non da una mera facolta' come quella del soggetto che scelga di rivolgersi ad un legale per una qualsiasi assistenza stragiudiziale.
Tale principio trova anche esplicita conferma del comma 2 dell'art.
1227 Cod. civ. (come richiamato dall'art. 2056 Cod. civ.) che, nel disciplinare in via generale il concorso causale del creditore nella



determinazione del danno, testualmente dispone che il risarcimento non e' dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza Per tutti i ricordati risvolti tale aspetto della vertenza, ad avviso del ricorrente, sarebbe stato del tutto ignorato dal giudice di pace, che, nell’accogliere l’avversa pretesa, sia pure limitatamente alle spese legali, non avrebbe minimamente motivato in ordine alla questione se e per quale ragione le spese legali dovevano essere riconosciute al danneggiato. Il motivo e' infondato.
Ed invero, la critica a tale punto della decisione poggia sul
convincimento che il cittadino possa conseguire la tutela giurisdizionale sempre nello stesso modo e con i medesimi effetti, e non considera che nulla vieta che il legislatore, per varie ragioni di ordine pubblico, possa subordinare l'esercizio dei diritti a
controlli o condizioni, che non sono affatto estranei al processo, ma
mirano a delimitarne il thema decidendum in contraddittorio fra le parti (Corte cost. 20.04.77 n. 63).
Tuttavia, nel prevedere le eccezioni alla regola generale, il legislatore deve rispettare il fondamentale principio di uguaglianza delle parti e il correlativo diritto di difesa, garantito dall’art.
24, comma secondo, della Costituzione, rispetto al quale il
contraddittorio fra le parti si pone quale suo indispensabile presupposto.
È cio' che accade nel procedimento per il risarcimento del danno
dovuto alla circolazione stradale.
Esso inizia con la spedizione della lettera raccomandata inviata dal danneggiato all’assicuratore dell’auto del presunto danneggiante, al fine di consentire ,fra le parti una, prima verifica delle rispettive pretese e, quindi, di conseguire 1’eventuale composizione bonaria della vertenza.
Non e' dubbio che l’attuale sistema legislativo in materia di
assicurazione obbligatoria per la responsabilita' civile da circolazione stradale,composto di vari interventi legislativi susseguitisi nel tempo, non e' di agevole conoscenza da parte degli utenti e che non tutti hanno il tempo disponibile per l’adempimento delle relative formalita'.
Tale rilievo, evidenziato dalla difesa del controricorrente, vale, pero', a far riconoscere le spese stragiudiziali come conseguenza del fatto lesivo, ma non sposta il tema della decisione, che e' quello di stabilire se il danneggiato ha diritto di farsi assistere da un
legale anche nella fase pregiudiziale e di ottenere, quindi, il rimborso del relativo compenso ovvero, nel caso contrario, se la negazione di tale diritto venga a costituire una violazione del diritto di difesa del danneggiato. Vale allora considerare che l’intervento di un professionista, sia esso un legale o un perito di fiducia, cosi' come previsto dall'art. 5 ultimo comma legge 5 marzo
2001 n. 57 e come affermato nel regime precedente dalla Corte di
cassazione (Cass. civ. 12.10.98 n. 11090, in Giust. civ., 1999, I,



422) e' necessario non solo per dirimere eventuali divergenze su punti della controversia,quanto per garantire gia' in questa prima fase la ove si osservi che l’istituto assicuratore non solo e' economicamente piu' forte,ma anche tecnicamente organizzato e professionalmente attrezzato per affrontare tutte le problematiche in materia di risarcimento del danno da circolazione stradale,, attesa
la complessita' e molteplicita' dei principi regolatori della
materia.
Va, quindi, affermato il principio che nella speciale procedura per il risarcimento del danno da circolazione stradale, introdotta con legge n. 990 del 1969 e sue successive modificazioni, il danneggiato ha diritto, in ragione del suo diritto di difesa, costituzionalmente garantito di farsi assistere da un legale di fiducia e, in ipotesi di composizione bonaria della vertenza, ad ottenere il rimborso delle relative spese legali.

Inammissibile e' il secondo motivo di ricorso con cui si contesta sotto il profilo motivazionale e la violazione di legge l'eccessivita' della somma liquidata per le spese legali del procedimento ex art. 22 della menzionata legge, in quanto risulta dalla sentenza impugnata che il giudice di pace ha dato contezza della sua decisione e, a un tempo, la contestazione del quantum debeatur, a tale titolo, non e' suscettibile di esame in sede di legittimita' della decisione presa nel giudizio di equita' necessario, in quanto le asserite violazioni delle tariffe professionali degli avvocati costituiscono norme di carattere sostanziale (Cass. civ. n. 1185/2003; n. 10363/2000).

Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio.




COMPENSAZIONE SPESE LEGALI PER GIUSTI MOTIVI SPESE DI LITE
Corte di Cassazione Sezioni Unite Civile

Sentenza del 30 luglio 2008, n. 20598



In controversia soggetta alla disciplina dell'art. 92, 2° comma, c.p.c.,, nel testo anteriore alla modifica introdotta con l'art. 2,
1° comma, lett. a), L. 28/12/2005 n. 263, il provvedimento giudiziale di compensazione totale o parziale, delle spese di lite per «giusti motivi» deve dare conto della relativa statuizione o mediante argomenti specificamente riferiti a questa ovvero attraverso rilievi



che, sebbene riguardanti la definizione del merito, si risolvono in considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare anche l'adottata determinazione sulle spese.



Corte di Cassazione Sezione 3 civile
Sentenza 28.02.2008, n. 5300

Nell'assicurazione per la responsabilità civile, la costituzione e difesa dell'assicurato, giustificata dall'instaurazione del giudizio da parte di chi assume di aver subito un danno, è svolta anche nell'interesse dell'assicuratore, ritualmente chiamato in causa, in quanto finalizzata all'obbiettivo ed imparziale accertamento dell'esistenza dell'obbligo di indennizzo. Pertanto, anche nel caso in cui nessun danno venga riconosciuto al terzo che ha promosso l'azione, l'assicuratore è tenuto a sopportare le spese di lite dell'assicurato, nei limiti stabiliti dal terzo comma dell'art. 1917 cod. civ. (Nella specie la Corte ha cassato la statuizione relativa alla compensazione delle spese di giudizio tra tutte le parti, nonostante il rigetto della domanda risarcitoria).

Corte di Cassazione Sezione 2 civile
Sentenza 26.09.2007, n. 20017

In caso d'integrale vittoria di una parte, la compensazione delle spese di lite per giusti motivi deve trovare nella motivazione della decisione una giustificazione quanto meno desumibile dall'intero contesto del provvedimento anche se non dall'esplicita mensione di argomentazioni ad hoc. In mancanza, il potere del giudice deve ritenersi esercitato in aperta violazione dell'art. 24
Cost. in particolare quando il valore della causa sia di modesta
entità ed in concreto economicamente incomparabile rispetto alle spese processuali. (Nella fattispecie, pur non essendo applicabile ratione temporis la nuova formulazione dell'art. 92 cod. proc. civ., la Corte ha cassato la sentenza del giudice di pace che non conteneva alcuna specificazione delle ragioni della compensazione delle spese di lite in caso di vittoria di una sola parte, per violazione di legge e difetto di motivazione).

Corte di Cassazione Sezione 3 civile
Sentenza 17.07.2007, n. 15882

La modifica dell'art. 92, comma secondo, cod. proc. civ., da parte della legge 28 dicembre 2005, n. 263 il cui art. 2 ha introdotto l'obbligo del giudice di indicare i motivi della compensazione delle spese di lite, vale soltanto nei procedimenti instaurati dopo la sua entrata in vigore. Per i giudizi instaurati precedentemente è ammissibile la compensazione per giusti motivi senza obbligo di



specificazione degli stessi e tale decisione non è censurabile in sede di legittimità, salvo i casi in cui sia accompagnata da ragioni palesemente o macroscopicamente illogiche, tali da inficiare, per la loro inconsistenza o evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto dal giudice di merito.

Corte di Cassazione Sezione 3 civile
Sentenza 12.01.2007, n. 456

In tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato della corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa. Pertanto esula da tale sindacato e
rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione
dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell'ipotesi di concorso con altri giusti motivi.

Corte di Cassazione Sezione 3 civile
Sentenza 11.06.2008, n. 15483

In materia di procedimento civile, il potere del giudice d'appello di procedere d'ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in
caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all'esito complessivo della lite mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d'impugnazione. Invero, la soccombenza, ai fini della liquidazione delle spese, deve essere stabilita in base ad un criterio unitario e globale sicché viola il principio di cui all'art. 91 cod. proc. civ. il giudice di merito che ritenga la parte come soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado. Peraltro, il criterio di individuazione della soccombenza deve essere unitario e globale anche qualora il giudice ritenga di giungere alla compensazione parziale delle spese di lite per reciproca parziale soccombenza, condannando poi per il residuo una delle due parti; in tal caso, l'unitarietà e la globalità del suddetto criterio comporta che, in relazione all'esito finale della lite, il giudice deve
individuare quale sia la parte parzialmente soccombente e quella, per
converso, parzialmente vincitrice, in favore della quale deve essere liquidata quella parte delle spese processuali che sia residuata all'esito della disposta compensazione parziale. (In applicazione del riportato principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata affermando che erroneamente la corte di merito aveva ritenuto per il primo grado parzialmente vincitrice l'attrice e per



l'appello parzialmente vincitrice la convenuta, disponendo la condanna alle spese, sia pure parziali, per un grado a carico di una parte e per l'altro a carico della controparte).



Corte di Cassazione Sezione 1 Civile

Sentenza del 30 maggio 2008, n. 14563



In controversia soggetta alla disciplina dell'art. 92, 2° comma, c.p.c., nel testo introdotto dall'art. 2, 1° comma, lett. a.), L.
28/12/2005 n. 263, il provvedimento giudiziale di compensazione, totale o parziale, delle spese di lite «per giusti motivi» deve contenerne l'esplicita indicazione mediante la specifica motivazione prescritta dalla menzionata norma, che risulta, pertanto, violata nel caso di mero richiamo, da parte del decidente, alla «peculiarità
della fattispecie» .



Tribunale Milano Sezione 10 Civile

Sentenza del 30 aprile 2007, n. 5101



Non può essere accolto il motivo d'appello riguardante la compensazione parziale delle spese di lite effettuata dal giudice di primo grado. L'art. 92, comma secondo, epe, secondo la previgente formulazione che continua ad applicarsi ai procedimento instaurati prima del primo/3/2006 (applicandosi, invece, le modifiche apportate dalle L. n. 263/05 e 51/06 soltanto ai procedimenti instaurati successivamente alla predetta data), dispone espressamente che se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti. Tale norma e stata pacificamente intesa dalla dottrina e dalla giurisprudenza nel senso che la valutazione dell'opportunità della compensazione totale o parziale delle spese processuali, sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di altri giusti motivi, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito (cfr. Cass. 21.10.1997 n.10359; Cass. 13.4.1995 n. 4234; Cass. 2005/1025) e che tale valutazione di opportunità 'non richiede specifica motivazione (cfr. Cass. 21.10.1997 cit.). essendo sufficiente, a tal fine, il riferimento del giudice alla sussistenza dei giusti motivi,
a prescindere dalla soccombenza. Ciò comporta, conseguentemente, la
ammissibilità della compensazione delle spese di lite non soltanto in caso di soccombenza reciproca, con l'unico invalicabile limite del rispetto del principio per cui L'onere delle spese non può essere posto integralmente a carico della parte che sia risultata totalmente vittoriosa. La parziale compensazione può ritenersi giustificata tenuto conto:
1. Che in primo grado il convenuto è rimasto contumace e che dal
rapporto dell'incidente steso dalla Polizia Municipale emergeva che non era presente alcun teste oculare. Ciò può avere indotto la



compagnia assicuratrice a ritenere, sulla base delle dichiarazioni
del conducente del veicolo, il proprio assicurato non responsabile di quanto accaduto;
2. Che la domanda attorea è stata accolta, sotto il profilo del quantum, soltanto parzialmente e la possibilità di ritenere sussistente un concorso di colpa era tesi - seppure non condivisa dal giudice d'appello - non palesemente infondata;
3. Che deve essere valutato anche il comportamento ante causam delle
parti.
Con riferimento a tale ultimo requisito, il comportamento della compagnia di assicurazioni risulta corretto se si tiene presente che la raccomandata contenente richiesta di risarcimento del danno è stata riscontrata dall'assicurazione nel pieno rispetto del termine di legge di 90 giorni a tal fine stabilito dal previgente art. 3 L.
39/77. come modificato dall'art. 5 L. 57/01 con richiesta di
trasmissione dei dati e dei documenti che la citata norma fa obbligo al danneggiato di trasmettere all'assicuratore, al fine di consentire a quest'ultimo di valutare la fondatezza della richiesta risarcitoria e di formulare eventuale offerta mentre il danneggiato non ha mai riscontrato tale richiesta di integrazione facendo seguire ad essa la notifica dell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado.



Tribunale di Bari Sezione 3 civile
Sentenza 16.06.2008, n. 1528

Il provvedimento di compensazione, totale o parziale, delle spese di lite per giusti motivi, rimane esente da qualsivoglia censura pur quando non contenga la specificazione delle ragioni che hanno indotto il giudicante a statuire in tal senso, dovendosi assolutamente escludere che un simile provvedimento possa essere di ostacolo all'effettività della tutela giurisdizionale.

Corte di Cassazione Sezione 3 civile
Sentenza 12.01.2007, n. 477

In tema di regolamento delle spese processuali, e con riferimento
alla loro compensazione, poiché il sindacato della S.C. è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell'ipotesi di concorso di altri giusti motivi. Va altresì specificato che il giudice di merito può compensare le spese di lite per giusti motivi senza obbligo di specificarli, e la
relativa statuizione non è censurabile in Cassazione, poiché il



riferimento a giusti motivi di compensazione denota che il giudice ha tenuto conto della fattispecie concreta nel suo complesso, quale evincibile dalle statuizioni relative ai punti della controversia.

Corte di Cassazione Sezione 2 civile
Sentenza 19.03.2007, n. 6409

Il giudice può compensare le spese processuali per giusti motivi senza obbligo di specificarli, atteso che l'esistenza di ragioni che giustifichino la compensazione va posta in relazione e deve essere integrata con la motivazione della sentenza e con tutte le vicende processuali, stante l'inscindibile connessione tra lo svolgimento della causa e la pronuncia sulle spese medesime, non trovando perciò applicazione in tema di compensazione per giusti motivi il principio sancito dall'articolo 111, sesto comma, della Costituzione secondo cui ogni provvedimento giurisdizionale deve essere motivato. Il potere del giudice di compensare le spese processuali per giusti motivi non è in contrasto con il principio dettato dall'articolo 24, primo comma, della Costituzione, giacché il provvedimento di
compensazione non costituisce, per la parte, ostacolo alla difesa dei propri diritti, non potendosi estendere la garanzia costituzionale dell'effettività della tutela giurisdizionale sino a comprendervi anche la condanna del soccombente al rimborso delle spese. (M.Pis.) Corte di Cassazione Sezione 3 civile
Sentenza 12.01.2007, n. 456

In tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato della corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa. Pertanto esula da tale sindacato e
rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione
dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell'ipotesi di concorso con altri giusti motivi.

Giudice di Pace di Bologna
Sentenza 24.05.2001

Nel caso di concorso di colpa ex art. 2054 secondo comma, c.c. nella causazione di un sinistro stradale per omessa precedenza, il giudice di merito può, se sussistono i «giusti motivi» di cui all'art. 92, secondo comma, c.p.c. per la compensazione parziale delle spese, prescindere dal criterio oggettivo della soccombenza reciproca e ripartire le spese ex art. 1227 c.c. in base alle effettive responsabilità delle parti nella causazione della lite. (Nella fattispecie, l'assicurazione convenuta, pur essendo evidente la responsabilità del proprio assicurato, non aveva formulato alcuna offerta reale di risarcimento danni e, d'altro canto, il danneggiato,



pur essendo consapevole di avere una parte di colpa, aveva continuato ciononostante a chiedere in corso di causa il risarcimento integrale del danno. Pertanto, sulla base di questo duplice ordine di motivi il giudice de quo ha ritenuto di attribuire all'attore il 14% del totale spese e alla compagnia di assicurazioni convenuta il residuo 86%, ovvero una quota rispettivamente inferiore, rispetto al 20% di colpa dell'attore, e superiore a quello di soccombenza, rispetto all'80% di colpa del convenuto).
Tribunale Milano Sezione 10 Civile

Sentenza del 30 aprile 2007, n. 5101



Non può essere accolto il motivo d'appello riguardante la compensazione parziale delle spese di lite effettuata dal giudice di primo grado. L'art. 92, comma secondo, epe, secondo la previgente formulazione che continua ad applicarsi ai procedimento instaurati prima del primo/3/2006 (applicandosi, invece, le modifiche apportate dalle L. n. 263/05 e 51/06 soltanto ai procedimenti instaurati successivamente alla predetta data), dispone espressamente che se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti. Tale norma e stata pacificamente intesa dalla dottrina e dalla giurisprudenza nel senso che la valutazione dell'opportunità della compensazione totale o parziale delle spese processuali, sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di altri giusti motivi, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito (cfr. Cass. 21.10.1997 n.10359; Cass. 13.4.1995 n. 4234; Cass. 2005/1025) e che tale valutazione di opportunità 'non richiede specifica motivazione (cfr. Cass. 21.10.1997 cit.). essendo sufficiente, a tal fine, il riferimento del giudice alla sussistenza dei giusti motivi,
a prescindere dalla soccombenza. Ciò comporta, conseguentemente, la
ammissibilità della compensazione delle spese di lite non soltanto in caso di soccombenza reciproca, con l'unico invalicabile limite del rispetto del principio per cui L'onere delle spese non può essere posto integralmente a carico della parte che sia risultata totalmente vittoriosa. La parziale compensazione può ritenersi giustificata tenuto conto:
1. Che in primo grado il convenuto è rimasto contumace e che dal
rapporto dell'incidente steso dalla Polizia Municipale emergeva che non era presente alcun teste oculare. Ciò può avere indotto la compagnia assicuratrice a ritenere, sulla base delle dichiarazioni
del conducente del veicolo, il proprio assicurato non responsabile di quanto accaduto;
2. Che la domanda attorea è stata accolta, sotto il profilo del
quantum, soltanto parzialmente e la possibilità di ritenere sussistente un concorso di colpa era tesi - seppure non condivisa dal giudice d'appello - non palesemente infondata;



3. Che deve essere valutato anche il comportamento ante causam delle parti.
Con riferimento a tale ultimo requisito, il comportamento della
compagnia di assicurazioni risulta corretto se si tiene presente che la raccomandata contenente richiesta di risarcimento del danno è stata riscontrata dall'assicurazione nel pieno rispetto del termine di legge di 90 giorni a tal fine stabilito dal pr


Riferimenti:

 
http://www.ciclistaurbano.net/domande.php?sezione=1009

 
https://www.laleggepertutti.it/353200_manovra-di-emergenza-ultime-sentenze

 
 
 

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