Infortunio in itinere: tutele estese per l’uso della bicicletta. Corte di Cassazione numero 7313 del 4 Aprile 2016 La corte di Cassazione detta le regole per l’indennizzabilità dell’infortunio in itinere occorso al lavoratore che si reca al lavoro in bicicletta. La legittimità del mezzo in questione va individuata in relazione ad un criterio di normalità-razionalità che tenga conto di vari standards comportamentali esistenti nella società civile, rispondendo a valori guida dell'ordinamento all'interno di un determinato contesto socio economico.In particolare, l’uso del velocipede da parte del lavoratore per recarsi al lavoro deve essere valutato in relazione al costume sociale, alle normali esigenze familiari del lavoratore (anche senza la presenza di contingenti necessità), alla presenza di mezzi pubblici, alla modalità di organizzazione dei servizi pubblici di trasporto nei luoghi in cui più è diffuso l'utilizzo della bicicletta, alla tipologia del percorso effettuato (un conto è l'impiego su un percorso urbano, un conto su una strada non urbana), alla conformazione dei luoghi, alle condizioni climatiche in atto (e non tanto a quelle stagionali), alla tendenza presente nell'ordinamento e rivolta all'incentivazione dell'uso della bicicletta. Con la sentenza 7313 del 4 Aprile 2016 la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha affermato un importante principio in tema di infortunio in itinere, in particolare precisando che l'utilizzo della bicicletta da parte del lavoratore per recarsi al lavoro deve essere valutato in relazione al costume sociale, alle normali esigenze familiari del lavoratore (anche senza la presenza di contingenti necessità), alla presenza di mezzi pubblici, alla modalità di organizzazione dei servizi pubblici di trasporto nei luoghi in cui più è diffuso l'utilizzo della bicicletta, alla tipologia del percorso effettuato (un conto è l'impiego su un percorso urbano, un conto su una strada non urbana), alla conformazione dei luoghi, alle condizioni climatiche in atto (e non tanto a quelle stagionali), alla tendenza presente nell'ordinamento e rivolta all'incentivazione dell'uso della bicicletta. Il fatto trae origine dal contenzioso instaurato da un lavoratore infortunatosi e l’INAIL. In breve, i fatti. La Corte d'Appello, in riforma della sentenza di primo grado dei Tribunale, respingeva la domanda di M.B. volta al riconoscimento di aver subito un infortunio in itinere in bicicletta - allorché, in data 2.1. 2008, alle 14.50, al termine del turno mattiniero, stava facendo ritorno a casa in bicicletta, quando veniva colpito da un motociclo - ed ottenere conseguentemente la condanna dell'INAIL ad erogargli le prestazioni di cui ali'art.13 d.lgs. 38/2000. A differenza del primo giudice, il quale aveva ritenuto che la distanza casa-lavoro da coprire fosse troppo lontana per andare a piedi, in considerazione delle esigenze legate ad una famiglia con una persona anziana da assistere, e non abbastanza lontana per l'uso del mezzo pubblico, la Corte d'Appello aveva sostenuto che il M. non avesse provato la contingente necessità dedotta (somministrare un'iniezione alla suocera) per fare ricorso al mezzo privato, e poiché il percorso da coprire, benché non coperto da mezzi pubblici, era di soli cinquecento metri doveva quindi ritenersi che l'uso del mezzo privato non fosse comunque necessitato, potendo lo stesso percorso essere coperto a piedi nel giro di pochi minuti (7,5), mentre l'utilizzo della bicicletta in città, in quanto soggetto ai pericoli del traffico, rappresentasse un aggravamento del rischio rispetto all'andare a piedi, tanto più nel mese di gennaio quando si era verificata l'infortunio. Contro la sentenza proponeva ricorso per cassazione M.B., in particolare dovendo ritenersi che nell'infortunio in itinere in oggetto l'uso della bicicletta per recarsi al lavoro fosse incluso nella tutela assicurativa in relazione alla necessità protetta dall'ordinamento di favorire spostamenti che riducano costi economici, ambientali e sociali. La Corte di Cassazione, nell’accogliere la tesi del lavoratore, ha affermato un principio già presente nella giurisprudenza di legittimità ma che, per la sua importanza, merita qui essere ribadito. Ed invero, hanno osservato i Supremi Giudici, con la disciplina dettata dall'art. 12 del D.Lgs. 38 la tutela assicurativa gestita dall'INAIL è stata estesa all'infortunio che accada al lavoratore lungo il percorso che collega l'abitazione al lavoro e viceversa. La nuova normativa amplia la tutela a qualsiasi infortunio verificatosi lungo il percorso da casa a luogo di lavoro, escludendo qualsiasi rilevanza all'entità del rischio o alla tipologia della specifica attività lavorativa cui l'infortunato sia addetto. La norma tutela quindi un rischio generico (quello del percorso) cui soggiace in realtà qualsiasi persona che lavori. Pertanto, come non si è mancato di avvertire all'indomani della legge - proprio perché non più rispondente alla logica selettiva del criterio del rischio professionale, su cui era stata fondata fin dall'origini l'assicurazione sociale - la nuova disciplina pone il problema della giustificazione per la mancanza di tutela per intere categorie dì lavoratori non assicurati. Secondo la disciplina in vigore anche l'uso del mezzo proprio (senza alcuna altra connessione funzionale con l'attività lavorativa assicurata) non è di ostacolo all'indennizzabilità; ma permane la condizione, già dettata dalla giurisprudenza, che l'uso sia necessitato. Sulla scorta della interpretazione giurisprudenziale in materia (anche precedente l'entrata in vigore della disciplina) il requisito della necessità non deve essere tuttavia inteso in senso assoluto, essendo sufficiente una necessità relativa (ossia emergente attraverso i molteplici fattori non definibili in astratto che condizionano la scelta dei mezzo privato rispetto a quello pubblico). Orbene, in quest’ottica la Corte di Cassazione valorizza quanto emerge dalla recente normativa di cui alla legge del 28.12.2015 n. 221 (pubblicata nella G. U. n. 13 dei 18.1.2016) contenente disposizioni in materia ambientale per promuovere misura di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali, il cui art. 5 prevede specifiche disposizioni volte ad incentivare la mobilità sostenibile anche nei percorsi casa lavoro, ivi inclusi le iniziative di bike-pooling e di bike-sharing, i programmi di educazione e sicurezza stradale, di riduzione del traffico, dell'inquinamento e della sosta degli autoveicoli in prossimità delle sedi di lavoro anche al fine di contrastare problemi derivanti dalla vita sedentaria. Tali programmi possono comprendere anche incentivi di tipo economico come la cessione a titolo gratuito di «buoni mobilità» ai lavoratori che usano mezzi di trasporto sostenibili. Rileva inoltre quanto disposto sempre all'interno della stessa legge ult. cit. con i commi 4 e 5 dell'art. 5 i quali intervengono ad integrare la materia dell'infortunio in itinere (di cui agli artt. 2, terzo comma e 210 quinto comma del T.U. 1124/65) chiarendo che: “L'uso del velocipede, come definito ai sensi dell'articolo 50 dei decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, deve, per i positivi riflessi ambientali, intendersi sempre necessitato”. In sostanza, attraverso la nuova disciplina, ai fini dell'infortunio in itinere, l'uso del velocipede (ovvero, secondo il codice della strada, dei veicolo, con due o più ruote, funzionante a propulsione esclusivamente muscolare, per mezzo di pedali anche se a pedalata assistita), deve ritenersi sempre assicurato, come lo è, per la stessa normativa, l'andare al lavoro a piedi o con utilizzo del mezzo pubblico. Certamente si tratta di una normativa entrata in vigore in epoca successiva al fatto che qui riguarda, e tuttavia, proprio perché espressione di istanze sociali largamente presenti da tempo nella comunità, essa non può non essere utilizzata dal giudice in chiave interpretativa al fine di chiarire anche il precetto elastico in vigore precedentemente. Tornando al caso in esame, dunque, la valutazione effettuata dalla Corte d’appello si è ritenuta non collimante con i principi richiamati. Il giudice d'appello aveva infatti parametrato la legittimità del ricorso al mezzo privato sostanzialmente soltanto in relazione al criterio della distanza che separa l'abitazione dal luogo di lavoro (peraltro considerata in unico senso di percorrenza); mentre la legittimità del mezzo in questione va individuata in relazione ad un criterio di normalità-razionalità che tenga conto di vari standards comportamentali esistenti nella società civile, rispondendo a valori guida dell'ordinamento all'interno di un determinato contesto socio economico. Da qui, dunque, l’accoglimento del ricorso del lavoratore. Rilievi pratici della sentenza . Ed invero, secondo l’esegesi della Cassazione, l'utilizzo della bicicletta da parte del lavoratore per recarsi al lavoro deve essere valutato in relazione al costume sociale, alle normali esigenze familiari del lavoratore (anche senza la presenza di contingenti necessità), alla presenza di mezzi pubblici, alla modalità di organizzazione dei servizi pubblici di trasporto nei luoghi in cui più è diffuso l'utilizzo della bicicletta, alla tipologia del percorso effettuato (un conto è l'impiego su un percorso urbano, un conto su una strada non urbana), alla conformazione dei luoghi, alle condizioni climatiche in atto (e non tanto a quelle stagionali), alla tendenza presente nell'ordinamento e rivolta all'incentivazione dell'uso della bicicletta. Precedenti giurisprudenziali: Cass. Civ., Sez. L, sentenza n. 9837 del 27/07/2000 Riferimenti: https://www.ciclistaurbano.net/leggi-sentenze/cassazione_23474_1999.pdfhttps://www.ciclistaurbano.net/bicicletta_detail.php?id=2873Articolo 2561 verificato al 2020-07-10 categoria: Giurisprudenza |