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Omicidio colposo anche se il ciclista investito di notte non usa il giubbetto catarifrangente. Cassazione 33226-2020.

 
Rischia l’omicidio colposo l’automobilista che di notte, in una strada senza illuminazione, investe e uccide il ciclista, anche se questo non indossava il giubbetto catarifrangente. Il ragazzo era comunque visibile grazie alle luci posteriori della bici. La conducente dell’auto, un’infermiera, viene comunque condannata a sei mesi, minimo della pena, in considerazione del suo stato di stanchezza al turno in ospedale appena terminato. La Corte di cassazione (Sentenza primo link sotto) respinge il ricorso della donna, che era stata assolta in primo grado con la formula perché il fatto non costituisce reato. Il tribunale, in un verdetto ribaltato in appello, aveva fatto prevalere gli elementi a favore dell’imputata.

Non c’era prova che la luce dei pedali della bicicletta fosse visibile perché la vittima portava delle scarpe sportive e certamente non aveva il giubbetto catarifrangente, malgrado la strada priva di illuminazione e l’ora notturna.

La Corte territoriale - nell’annullare l’assoluzione essenzialmente sulla base di una relazione del perito - aveva dato un peso ad altre circostanze. La ricorrente viaggiava ad una velocità compresa tra 63 e 73 km, in una strada con limite a 70, troppo per il tratto in cui si trovava: all’interno di un sottopassaggio, con visibilità ridotta, nessuno spazio di manovra, e una vasta pozzanghera sul lato destro. Proprio la presenza dell’acqua aveva indotto il ciclista a spostarsi quasi al centro della strada, a circa 90 centimetri dal margine destro della carreggiata.

Per la Suprema corte la motivazione “rafforzata” dei giudici di appello, imposta quando si deve riformare in peggio un verdetto, è convincente. L’assenza del giubbotto non è dirimente e non lo è neppure la visibilità dei fanalini dei pedali, perché il ragazzo era visibile grazie ai led posteriori. L’automobilista se avesse azionato gli abbaglianti poteva vederlo prima del sottopasso, e a 10 metri con gli anabbaglianti. La presenza del ciclista quasi al centro della via, avrebbe dovuto imporre una maggiore prudenza. E una prova della scarsa attenzione, per i giudici, sta anche nell’assenza di frenata o di tentativi di deviazione.

Non passa la tesi della difesa sulla manovra repentina della vittima per evitare la pozza: secondo il perito lo spostamento era avvenuto prima. La pena è fissata però in sei mesi con i benefici di legge. La Corte territoriale ha considerato le aggravanti equivalenti alle attenuanti generiche. L’imputata era incensurata, aveva risarcito il danno e aveva dalla sua la stanchezza, dovuta al turno in ospedale appena terminato.


Riferimenti:
 
http://www.ciclistaurbano.net/leggi-sentenze/cassazione_33226_2020.pdf

 
 
 

Articolo 3262 aggiornato al 2020-11-29. sezione=Giurisprudenza

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